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Prefettura di Venezia, Venezia (1866 – …)

Prefettura di Venezia, Venezia (1866 – …)

  • Denominazione
    Prefettura di Venezia (1866 - ...)
  • Date di esistenza
    1866 - …
  • Sedi
    • Venezia
  • Tipo di ente
  • Cenni storici

    La storia del sistema prefettizio italiano si può suddividere sostanzialmente in quattro macro-periodi: dall’unità d’Italia all’avvento di Mussolini (1861-1922), il ventennio fascista (1922-1943), dalla caduta del regime fino al varo della Costituzione repubblicana (1943-1948), gli anni della Repubblica fino alle recenti profonde riforme del sistema. Di seguito se ne dà qualche cenno limitatamente agli anni compresi nell’arco cronologico del complesso documentario descritto.
    Anche se le Prefetture in Italia nacquero nel periodo della dominazione francese, si deve all’estensione delle leggi sabaude ai vari Stati preunitari la formazione della struttura portante del sistema prefettizio quale emanazione dello Stato centrale sul territorio nazionale. La legge del 23 ottobre 1859, n. 3702, nota come legge Rattazzi, articolava il territorio in province, circondari e comuni, governati rispettivamente da governatori, intendenti e sindaci; i primi nel 1861 assunsero il titolo di prefetti i quali, secondo la legge di unificazione amministrativa del territorio nazionale del 1865, si fecero carico del raccordo tra centro e periferia: il prefetto fu fatto dipendere dal Ministero dell’interno e rappresentava il potere esecutivo nella provincia di competenza; egli inoltre era a capo della Deputazione provinciale, organo posto a capo dell’amministrazione della provincia.
    Le competenze del prefetto erano stabilite con precisione: egli dirigeva l’attività dei sotto-prefetti nei rispettivi circondari e controllava le deliberazioni del Consiglio comunale e provinciale; quale tramite del Ministero dell’interno amministrava la pubblica sicurezza servendosi dell’arma dei Carabinieri e dei questori; tutelava la sanità pubblica. Inoltre, come confermato da provvedimenti successivi, provvedeva alla pubblicazione e all’esecuzione delle leggi, vegliava sul buon andamento di tutte le pubbliche amministrazioni e, ove fosse necessario, emanava i provvedimenti necessari in tutti i settori di competenza. La misura dello stretto rapporto tra prefetti e Ministero dell’interno è data da una norma del regolamento esecutivo della legge di unificazione amministrativa secondo la quale alla scadenza di novembre di ogni anno il prefetto doveva inviare al ministro una relazione dettagliata su: condizioni economiche e sanitarie del territorio, elezioni, sicurezza pubblica, industria e sua tendenza, condizione della moralità pubblica e altre eventuali questioni significative; in seguito anche sulla situazione politica. I prefetti erano di nomina regia su deliberazione del Consiglio dei ministri e proposta del Ministero dell’interno. Il governo aveva la massima discrezionalità nella scelta dei funzionari, d’altra parte i prefetti avevano enorme libertà d’azione, in quanto godevano della “garanzia amministrativa” dovendo rendere conto solo al ministro del loro operato ed essendo esclusi da procedimento giudiziario se non previa autorizzazione regia.
    L’organizzazione interna prevedeva la presenza di quattro Divisioni, con, in aggiunta, un ufficio di Gabinetto; i protocolli d’archivio erano separati. L’istituzione del Gabinetto di Prefettura fu poi ratificato con Regio decreto n. 6107 del 1889, il quale affidava a questo ufficio la trattazione degli affari di natura politica, riservata o confidenziale (si vedano i Cenni storici della scheda Gabinetto della Prefettura di Venezia, 1866-1982).
    Le riforme nell’ordinamento amministrativo introdotte da Francesco Crispi a fine Ottocento e da Giolitti nel periodo immediatamente successivo apportarono importanti novità anche per le competenze dei prefetti, cui fu tolta la presidenza delle Deputazioni provinciali, ora elettive; essi però videro rafforzato la loro autorità di governo sul territorio essendo a capo della Giunta provinciale amministrativa; particolari facoltà venivano attribuite in riferimento alla sanità pubblica e alla gestione della pubblica sicurezza. Inoltre si rafforzarono i poteri di controllo sulle industrie pericolose, sul lavoro di donne e bambini, sull’emigrazione, sul risanamento del suolo e degli abitati, sulla mediazione dei conflitti sociali, sempre più frequenti e importanti con il progredire dell’industrializzazione del paese. Più in generale, i prefetti garantivano l’applicazione delle norme che regolavano la vita civile dei cittadini, controllavano la conflittualità economica e sociale e l’amministrazione locale.
    Con lo scoppio del primo conflitto mondiale la necessità di garantire la tutela del fronte interno, spinse il governo a conferire ai prefetti ampi poteri in materia di pubblica sicurezza, ripresi e potenziati qualche anno dopo sotto il fascismo.
    Nel secondo periodo (1922-1943) il ruolo del prefetto quale rappresentante dello Stato sul territorio risultò rafforzato, anche se, nello stesso tempo, si accentuò la sorveglianza esercitata dal governo sul loro operato. Soprattutto dopo l’approvazione delle “leggi fascistissime” (1925-1926), e poi delle leggi razziali (1938), si ampliarono le funzioni delle Prefetture in materia di controllo politico, repressione del dissenso (anche attraverso il confino politico) e polizia amministrativa; tuttavia la figura del prefetto fu arginata e controbilanciata da quella del capo della Federazione provinciale del Partito fascista (il cosiddetto “federale”), unico partito politico consentito: infatti, soprattutto in ambito di controllo delle amministrazioni locali, i poteri del rappresentante del governo furono fortemente limitati, ne fu invece accentuata la funzione di coordinamento e di indirizzo politico di tutti gli uffici periferici dello Stato (Intendenza di finanza, Provveditorato agli studi, Genio civile, Poste, Forestale, Ispettorato del lavoro ecc.).
    Dopo la caduta di Mussolini e l’armistizio dell’8 settembre 1943, divisa in due l’Italia, a sud il governo Badoglio procedette a destituire i prefetti di nomina politica, collusi con il caduto regime fascista, a nord nelle Prefetture della neo Repubblica sociale italiana si posero uomini fedeli al ricostituito Partito fascista repubblicano, mentre nei territori mano a mano liberati i CLN o le commissioni di governo degli alleati provvedevano a nominare dei prefetti politici, successivamente sostituiti con prefetti di carriera.
    Nell’ultimo periodo di guerra e nell’immediato dopoguerra nei governi Bonomi si discusse se mantenere o meno la figura del prefetto (grazie ai lavori delle due Commissioni Forti sulla riforma dell’amministrazione), ma alla fine fu recuperata quale insostituibile figura istituzionale sul territorio. La Costituzione repubblicana infatti non apportò nessuna novità nel sistema prefettizio: questa, semplicemente, non ne fa cenno. I prefetti mantennero le funzioni di cui già erano dotati, ad eccezione delle competenza in materia razziale e di difesa militare, del tutto decadute. Mentre le Prefetture persero parte della preminenza sugli altri uffici periferici dello Stato, il nuovo assetto politico internazionale (guerra fredda, ascesa del Partito comunista quale partito di massa) determinò un incremento dei loro poteri nella tutela dell’ordine pubblico: il prefetto poteva ancora emanare provvedimenti per il pubblico interesse in tutti i settori di competenza, compreso quello della sicurezza.
    Tra gli anni Sessanta e Settanta però, con l’attuarsi del decentramento amministrativo a favore delle Regioni, anche il rappresentante del potere centrale nelle province cominciò a perdere alcune delle sue tradizionali prerogative, ad esempio la garanzia amministrativa (dichiarata incostituzionale) e alcuni dei poteri attribuiti negli anni della dittatura, come la facoltà di adottare provvedimenti eccezionali per la tutela dell’ordine pubblico.
    In base al decreto n. 297 del 1911 le Prefetture erano ancora organizzate in un ufficio di Gabinetto, cinque Divisioni e un Ufficio ragioneria; nel 1982 furono ristrutturate in un Gabinetto e tre Settori (affari politici e elettorali, protezione civile e polizia amministrativa, finanze degli enti locali e statali).
    Nel corso degli anni Ottanta e poi degli anni Novanta il prefetto perse altre competenze conferitegli tra Ottocento e Novecento: sua attribuzione rimase sempre il coordinamento delle forze di polizia, ma in coabitazione con la figura del questore, svincolata da quella del prefetto e non più gerarchicamente subordinata come un tempo; anche nel campo dell’assistenza pubblica e dell’amministrazione locale diminuirono notevolmente i poteri di controllo.
    Infine, con il Decreto legislativo del 30 luglio 1999, n. 300 le Prefetture furono rinominate Uffici territoriali del governo – UTG, per poi tornare a chiamarsi, con denominazione mista, Prefetture-Uffici territoriali del governo poco dopo, con il Decreto legislativo del 21 gennaio 2004, n. 29.

  • Nota bibliografica

    P. G. Marcellino e R. Martucci, a cura di, Il prefetto nella storia e nelle istituzioni. Bicentenario dell’istituzione prefettizia. Atti del Convegno “Il prefetto: ieri, oggi, domani”, organizzato a Macerata il 6 e 7 dicembre 2002 dall’Ufficio territoriale di Governo – Prefettura di Macerata e dalle Università di Macerata e di Camerino, Quodlibet, Macerata 2003.

  • Fonti

    Archivio di Stato di Venezia, Guida al patrimonio documentario on-line SiASVe, Prefettura di Venezia, scheda complesso archivistico e soggetto produttore.
    Guida generale degli Archivi di Stato italiani, on-line all’indirizzo guidagenerale.maas.ccr.it, Prefettura (1861-1999), scheda del profilo istituzionale, a cura di P. Carucci, 2010 (consultato nel mese di giugno 2018).

  • Compilatore
    Alessandro Ruzzon, prima redazione giugno 2018
  • Revisione
    Archivio di Stato di Venezia, giugno 2018
  • Complessi archivistici prodotti